lunedì 25 giugno 2007

Il nome della rosa

Era il 1980, il primo della generazione pop. Con quell'anno inizavano i lustri dedicati all'immagine, all'apparenza, all'"avere". Era un mondo di un consumismo rosa shocking ma tutto sommato ancora naif, per il grande pubblico.
Quell'anno è stato pubblicato un libro a cui mi sono particolarmente afffezionato, quando ho avuto modo di leggerlo. Si tratta de "Il nome della rosa".

L'autore è il noto Umberto Eco, semiologo di fama accademica mondiale. Ultimamente è noto per l'imitazione radiofonica del Fiorello nazionale (un collega, siamo entrambi in radio...).

La semiologia è, con definizione semplificante, la disciplina che studia i fenomeni di significazione e comunicazione. Insomma, la semiologia studia le relazioni tra segni e realtà: perché la rosa si chiama 'rosa', perché quella parola si scrive con quei segni, che si pronunciano con quei suoni? Perché quando li pronuncio mi viene in mente quella cosa? Il lavoro accademico del Professor Eco è curiosamente noioso o forse noiosamente curioso. Forse per questo, il barbuto insegnante ha iniziato a scrivere storie avventurose.

A 14 anni ho letto quel libro per la prima volta. Saputo che lo stavo leggendo, una professoressa mi ha detto: "Ma non è troppo complicato per te?". Anche lei lo aveva letto, ma ne aveva còlto uno solo dei piani di lettura possibili, quello dotto dei collegamenti filologici e storiografici. Aveva tralasciato il romanzo giallo, il brivido. Aveva tralasciato, ancor più, la piccola gemma che il libro nasconde.

Adso da Melk, il supposto narratore, riferisce anche della sua esperienza sessual-amorosa di gioventù, proprio durante i fatti della storia. La definisce, al termine del libro, come cosa peccaminosa conchiusa nel passato. Ma il suo ricordo, anche durante la vecchiaia, è vivido per ciò che riguarda la ragazza di cui s'era invaghito e rivela che l'infatuazione amorosa ancora persiste. Non ha mai saputo il nome della ragazza. Ma ne aveva conosciuto tutto l'essere. Un po' come un totale ignorante che non ha mai visto una rosa, ma ne percepisce e riconosce l'intima bellezza senza necessità di spiegazioni. Ecco il senso del titolo, in uno dei possibili piani di lettura.

Il buon Eco ha riproposto un pensiero romantico già utilizzato, adattandolo al suo volere semiotico; lo "Swan of Avon" Shakespeare almeno tre secoli prima aveva fatto dire ad una Giulietta monomaniaca per il suo Romeo: «Che significa "Montecchi"? Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia, né un'altra parte qualunque del corpo di un uomo. Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.»

Cosa accade quando ci si innamora? Cosa cambia, nel modo di vedere l'altro?

Gli Hootie & the blowfish (ma non ho certezza della data) sono una band americana nata in un College; nel 2000 hanno tenuto un concerto in un College. Il tutto è stato poi proposto su Mtv unplugged series. All'interno del concerto, il gruppo s'è fatto da parte e ha permesso al cantante ed al chitarrista di eseguire una canzone di Tom Waits.

I signori citati meritano di essere ascoltati ed apprezzati in molte altre canzoni (Let her cry, Only wanna be with you, etcetera) ma la canzone in questione è davvero fantastica. E' una bella emozione da ascoltare, pura: descrive quella linea di confine superata la quale ci si innamora. Senza necessità fisiche. Solo, accade quel famoso "qualcosa". Trovatela e ascoltatela nella versione indicata, chiudete gli occhi, respirate con calma. E lasciatevi portare dalla voce.

Closing Times

Well I hope that I don't fall in love with you
'Cause falling in love just makes me blue
Well the music plays and you display your heart for meto see,
I had a beer and now I hear you calling out for me
And I hope that I don't fall in love with you.

Well the night does funny things inside a man,
These old tomcat feelings you don't understand,
Well I turn around to look at you; you light a cigarette,
I wish I had the guts to bum one, but we've never met.
And I hope that I don't fall in love with you.

I can see that you are lonesome just like me,
And it being late, You'd like some company.
Well I turn around to look at you, and you look back at me,
The guy you're with has up and split the chair next to you's free.
And I hope that you don't fall in love with me.

Now it's closing time, the music's fading out.
Last call for drinks, I'll have another stout.
Well I turn around to look at you; you're nowhere tobe found,
I search the place for your lost face, guess I'll have another round.
And I think that I just fell in love with you.

venerdì 15 giugno 2007

Lupo Alberto

L'antieroe di Silver considerava - in una vignetta singola di qualche anno fa - che non vale la pena affannarsi nella vita, poiché tanto "non ne verremo mai fuori vivi". Ottimismo ostentato e contagioso, ma foriero di un messaggio indubitabilmente (l'avverbio è una dotta citazione per chi so io) concreto.
Una donna meritevole di stima mi ha donato un momento di riflessione sulla eccessiva rapidità della vita quotidiana (trascurabile in quanto populista e qualunquista l'apporto conferito dal Conte Bera: ok, la vecchina che crea coda con la sua punto e il semaforo schizofrenico in fondo alla coda esistono, ma se li si becca sempre forse è opportuno fare un salto dal prete per una benedizione lampo o dall'esorcista per un brivido superiore). Oltre a ringraziare Francesca dell'omaggio, pokeristicamente parlando "vedo" il suo "call" e rilancio ("raise") con un brano, sempre sul medesimo argomento.
Nel 1972 il c.d. grande pubblico faceva la conoscenza con una band particolare, nata un anno prima: si tratta degli Eagles (il primo album è omonimo), che furoreggiano per otto anni nonostante un rapido turn-over di componenti (rimangono sempre fissi i fondatori, Don Henley e Glenn Frey).
Sono riconosciuti come LA country-rock band; in realtà NASCONO country, dunque con una certa attenzione ai valori sani del genere umano. Evolvendosi, acquisiscono sempre più toni rock, continuando però a tener fede al ruolo "subliminale" di coscienza degli USA.
Nel 1980 smettono di suonare assieme. Da quattro erano diventati cinque: Bernie Leadon e Randy Maisner hanno ceduto il posto a Don Felder, Joe Walsh e Timothy B. Schmit.
Nei primi anni '90 si ritrovano e la reunion viene suggellata da un videoconcerto straordinario nel 1994: è il periodo degli "unplugged" di Mtv e chi potrebbe tenere i diritti sui video meglio della emittente dei giovani Mocciani? Il concerto viene titolato "Hell Freezes over". Lo consiglio dall'inizio alla fine, intendendo per inizio le interviste, le prove, il backstage in genere e per fine i titoli di coda. Tutto compreso. All'uscita della band sul palco, Glenn Frey afferma: "For the records, we never broke up, we just took a fourteen years vacation". Beati loro.
Uno dei pezzi inediti presentati durante la serata (ti presenti e non porti niente? E' maleducazione!) è – ça va sans dire - quello di oggi. E' incentrato proprio sul vivere la vita e non ridursi a sopravvivere ad essa. Il brano è molto pacato, dà l'impressione di un qualcuno che ha sufficiente esperienza di vita per potersi permettere quel consiglio. Il senso è ancora quello dell'inizio, cioè di TAKE IT EASY, ma ora con una consapevolezza superiore. La voce di D. Henley riesce ancora una volta a toccare le corde dell'anima.
Learn To Be Still
It's just another day in paradise
As you stumble to your bed
You'd give anything to silence
Those voices ringing in your head
You thought you could find happiness
Just over that green hill
You thought you would be satisfied
But you never will
Learn to be still
We are like sheep without a shepherd
We don't know how to be alone
So we wander 'round this desert
And wind up following the wrong gods home
But the flock cries out for another
And they keep answering that bell
And one more starry-eyed messiah
Meets a violent farewell
Learn to be still
Learn to be still
Now the flowers in your garden
They don't smell so sweet
Maybe you've forgotten
The heaven lying at your feet
There are so many contradictions
In all these messages we send(we keep asking)
How do I get out of here
Where do I fit in?
Though the world is torn and shaken
Even if your heart is breakin'
It's waiting for you to awaken
And someday you will
Learn to be still
Learn to be still
You just keep on runnin'
Keep on runnin'

giovedì 14 giugno 2007

Cinque personaggi in cerca di sé

Il gusto è un fatto personale; consiste anche in questo quell'inezia di diversità che caratterizza ognuno di noi. Soltanto per questa ovvia ragione dovremmo portare più rispetto gli uni per gli altri e per le preferenze individuali (eccezion fatta per le devianze aberranti su cui non mi soffermerò), indipendentemente dal loro ambito di manifestazione (arte, lavoro, sessualità, erotismo, cucina, hobbies,...).

E' questo nostro momento di diversità il motivo per cui molte sono le culture, molti i punti di vista e molte sono le realtà. Insomma, è questo che rende speciale la vita.

C'è un momento particolare, nella vita di ognuno di noi, durante il quale tutte queste diversità sono esasperate: l'adolescenza; si tratta di un periodo magnifico e paradossale: magnifico perché se ne conserva un ricordo che difficilmente sbiadisce, perché si fanno le prime esperienze forti; paradossale perché si forma il carattere, si delinea e definisce, vengono acuite ed esasperate le diversità, ma si cerca un "gruppo" di appartenenza nel quale poter essere liberi.

In molti hanno analizzato questo periodo di passaggio, e ancora molti hanno provato a studiarlo nella cosiddetta 'X GENERATION', quella che l'adolescenza l'ha vissuta negli anni '80 e '90. A mio avviso, nessun "esperto" psicologo-psichiatra, letterato o artista ha centrato il cuore della questione, ad eccezione di un regista, John Hughes.

A metà degli anni '80 Hughes ha girato quello che, a mio avviso, è il capolavoro descrittivo della generation X, un film straordinario ma che in Italia è poco noto: THE BREAKFAST CLUB.

E' la storia di 5 teenagers totalmente diversi tra loro per condizione sociale, frequentazioni, hobbies, cultura (vengono utilizzati gli stereotipi Jankee dello sportivo, del nerd, della principessina, della schizzata e del bullo)... Insomma, si diversificano per tutto ciò che identifica un adolescente. I cinque si trovano costretti, per punizione scolastica, a trascorrere il sabato (dalle 08.00 a.m. alle 16.00 p.m.) chiusi nella biblioteca della scuola, sorvegliati da un insegnante (che si sente più in punizione di loro), il quale, nel tentativo di placarne gli animi, affida loro "il" tema: "CHI SONO IO?"; il prof. confidava nell'autoanalisi punitiva.

La convivenza forzata, i rispettivi vissuti e le connesse problematiche fungono da potente catalizzatore e i nostri eroi sono costretti ad un profondo esame personale e sociale, un terremoto interiore che, nell'ottica buonista del film, riesce a migliorarli, facendo loro superare il preconcetto del 'diverso', differente e perciò necessariamente negativo.

I dialoghi sono stati resi, nella traduzione, abbastanza bene; tuttavia, è proprio la battuta di chiusura, quella che dimostra il cambiamento, a non essere fedele. Infatti, nella versione italiana si sente dire: "...tanto lei ci vede come vuole. Usando il linguaggio più semplice e la definizione più comoda, lei ci vede come un cervello, un atleta, un'handicappata, una principessa e un criminale...."; invece, nella versione originale la lettera nell'epilogo contiene una differenza fondamentale: "...you see us as you want to see us. In the simplest terms and the most convenient definitions. But what we found out is that each one of us is a brain..an athlete..a basket case..a princess..and a criminal....", ovvero: "...tanto lei ci vede come vuole. Nei termini più semplici e nella definizione più comoda. Ma ciò che abbiamo scoperto è che ognuno di noi è un cervello..un atleta..una schizzata..una principessa..e un criminale ...."; come a dire "siamo un qualcosa di indefinito, ma potremmo essere quello che vogliamo. Non ci limitate."!

E' un film che riguardo spesso, con gioia e nostalgia: nonostante la differenza culturale, riconosco in quei ragazzini una parte di me.

La colonna sonora è adeguata al periodo, nulla di speciale tranne per un brano, interpretato dai Simple Minds. Spero lo conosciate o che abbiate la voglia di conoscerlo.

Dedicato alla sezione B magistrale Duca degli Abruzzi di Treviso, diplomata nel '96/97.
Don't You (Forget About Me)
Hey, hey, hey, hey Ohhh...
Won't you come see about me?
I'll be alone, dancing you know it baby
Tell me your troubles and doubts
Giving me everything inside and out and
Love's strange so real in the dark
Think of the tender things that we were working on
Slow change may pull us apart
When the light gets into your heart, baby
Don't You Forget About Me
Don't Don't Don't Don't
Don't You Forget About Me
Will you stand above me?
Look my way, never love me
Rain keeps falling, rain keeps falling
Down, down, down
Will you recognise me?
Call my name or walk on by
Rain keeps falling, rain keeps falling
Down, down, down, down
Hey, hey, hey, hey Ohhhh.....
Don't you try to pretend
It's my feeling we'll win in the end
I won't harm you or touch your defenses
Vanity and security
Don't you forget about me
I'll be alone, dancing you know it baby
Going to take you apart
I'll put us back together at heart, baby
Don't You Forget About Me
Don't Don't Don't Don't
Don't You Forget About Me
As you walk on by
Will you call my name?
As you walk on by
Will you call my name?
When you walk away
Or will you walk away?
Will you walk on by?
Come on - call my name
Will you all my name?
I say :
La la la...

lunedì 11 giugno 2007

Contaminazione

Raccontarsi, narrare qualcosa di sé è ardua impresa, se si vuole essere onesti con gli altri e, prima ancora, con noi stessi. Difficilmente qualcuno riesce a compiere una simile impresa.

Il maggiore oracolo della Grecia antica, quello di Delfi, aveva un "proprio motto": Γνωθι Σεαυτόν (dovrebbe pronunciarsi GNOSI SEAUTON, con la 'G' dura, ma i grecisti tra voi avranno il buon cuore di correggermi), ossia 'conosci te stesso'. Sono passate migliaia di anni, ma ancora l'essere umano è in difficoltà di fronte al proprio 'io' e alle conseguenze che esso provoca.

Ognuno di noi indossa una maschera, per quanto piccola, con cui pretende di giustificare la propria diversità dagli altri.

Per questo fece scalpore, al tempo, l'opera di E. L. Masters, il quale pubblicò - su un quotidiano statunitense - quella che sarebbe poi divenuta l'Antologia di Spoon River. L'autore prese spunto da persone a lui note e ne descrisse in forma di epitaffio il fulcro esistenziale con una poetica scarna molto efficace. Tanto che alcune di esse, quelle ancora in vita, si riconobbero e si risentirono del fatto di esser state messe a nudo così brutalmente.

Chi ha letto L'Antologia (sdoganata in Italia durante il ventennio littorio grazie ad una inconsapevole Fernanda Pivano e ad un accorto e astuto Cesare Pavese) conosce la poesia di quelle crude descrizioni. Chi non la conosce e non se la sente di leggerla ascolti l'album NON AL DENARO, NON ALL'AMORE NE' AL CIELO del compianto De Andrè, che da essa è ispirato; il disco originale è del '71.

Ottimo, secondo me, l'omaggio di Morgan, che l'ha rifatto nel 2005.

La canzone di oggi è speciale. E' solo una ma vi esorto ad ascoltarle tutte. Questa parla di una persona che, non avendo maschere, ne avrebbe voluta una. E anche di un paese di maschere che... Beh fate voi. Si intitola

UN MATTO (DIETRO OGNI SCEMO C'E' UN VILLAGGIO)

Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro.

E sì, anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare:
per stupire mezz'ora basta un libro di storia,
io cercai di imparare la Treccani a memoria,
e dopo maiale, Majakowsky, malfatto,
continuarono gli altri fino a leggermi matto.

E senza sapere a chi dovessi la vita
in un manicomio io l'ho restituita:
qui sulla collina dormo malvolentieri
eppure c'è luce ormai nei miei pensieri,
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole.

Le mie ossa regalano ancora alla vita:
le regalano ancora erba fiorita.
Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina;
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
"Una morte pietosa lo strappò alla pazzia".

Si va a cominciare l'esperimento

Quello che va ad iniziare è l'esperimento di una radio da leggere.

Proviamo a vedere se serve più a Voi che a me.

Per i primi giorni cercherò di imparare a gestire l'idea, poi...