giovedì 29 novembre 2007

6 x 9

Soluzione: 6 x 9 = piùdiquarantatremiliardidimiliardi. Dicesi cifra a 18 zeri. Scrivesi X>43.000.000.000.000.000.000.

Non credo sia giusto complicare molto il discorso che intendo fare; credo sia però giusto soddisfare il mio ego e dar sfoggio, almeno in una piccola misura, di futile nozionismo (già, mi accontento di poco, son fatto così…). Patientiagite, gentes, patientiagite…

Lo spunto di riflessione di oggi è costituito da un oggetto, ideato negli anni ’70 da un ungherese; detto “coso” era destinato agli scienziati matematici, in quanto offriva ottime possibilità di studio statistico (già da questo dovreste aver capito che la semplice moltiplicazione proposta come titolo non deve, non può essere così semplice). Tuttavia, un articolo scientifico di uno scienziato, pubblicato su una rivista scientifica, e letto da uno che scienziato non era, ha fatto conoscere alla gente “comune” l’infernale tetragono scientifico. Che è divenuto uno dei passatempi più noti al mondo, quasi quasi il rompicapo per antonomasia. Come sminuire rapidamente la seria attività di accademici scienziati nell’esercizio del loro ufficio o servizio, giochicchiando con tutto. Newton non faceva mica giocoleria, con le mele! Infatti, quando il pomo gli è piombato sul capo, stava pensando ad altro che alla legge di gravità!
E ci pensava seriamente!
Detto per inciso, l’ideatore dell’aggeggio c’ha guadagnato tanto da fare schifo; sì, anche al netto del cambio Fiorino Ungherese/Lire Italiane/€uro.
Nessuno l’ha ancora indovinato!?! Sì!?! Si tratta del famigerato “Cubo Magico”, alias “Cubo di Rubik”: nella versione classica ha 6 facce, con 9 caselle colorate per faccia, da cui possono generarsi, appunto, oltre 43 miliardi di miliardi di combinazioni. Quando ogni faccia ha un solo colore, quella – ironia della sorte – è la combinazione giusta.

Non so perché, ma mi riesce spontaneo pensare che quell’unica dannata combinazione sia quella giusta solo per convenzione. Cioè, forse lo so, il perché: dopo alcune migliaia di tentativi, c’ho rinunciato; accampo come scusa il fatto che avevo tra i 7 e i 9 anni. Comunque sia, il punto non è questo.
Il punto è che quel diabolico variopinto agglomerato plastico può costituire una simpatica metafora dell’esistenza umana.
La quale non ha però soluzioni.
Vado ad esemplificare: all’interno di un ambito socioculturale (rappresentato dal cubo), la persona (ogni singola faccia) è valutata per la coerenza interna in ogni suo aspetto (ogni casella della faccia). Più caselle sono "dello stesso colore", più quella persona è considerata coerente nel proprio essere.
O ancora, la società (ogni faccia del cubo) è tanto più in armonia, quanto più le persone che la compongono (le caselle) sono “sulla stessa lunghezza d’onda”.

Questi sono modi di pensare ‘politically correct’, che un tantino serpeggiano nella massa.
Ma non mi piacciono. Non è detto, ad esempio, che si debba essere sempre coerenti con sé stessi. Potrebbe essere dannoso. Leggasi Hitler, Mein Kampf. Detto, fatto.
Né è detto che tra noi e le persone che ci stanno accanto ci debba essere totale ed assoluta concordanza di vedute-idee-pensieri-emozioni-stati d’animo-etcetcetc. Si annullerebbe (sic) la riflessione, la fantasia, la creatività.

Lo so, sono due estremi. Ma la vita è flusso, scorrimento, cambiamento, disomogeneità. È anche stupore, sgomento, sofferenza, paura. È anche gioia, serenità, felicità, amore. È una ricetta che comprende tutti questi ingredienti. C’è anche il sesso, che è come il peperoncino: a chi piace, fin quanto gli piace.
Prendo a prestito due aforismi (non indicherò gli autori; non li conosco o li ometto e basta?!).
La vita è quello che ti succede mentre sei intento in altri progetti.
La forza non sta nel non cadere mai, ma nel riuscire a rialzarsi dopo ogni caduta.

Insomma, nella vita l’imprevisto c’è (e non è sempre positivo. Ma che questo resti un segreto…) ed è quella dannata casella che continuta ad avere quel dannato colore diverso rispetto alle altre. E che ti costringe ad una dura scelta:
1. riscombini tutto quanto per risistemare la casella indisciplinata, col rischio che lei capisca l’antifona ma tutte le altre decidano di non obbedire più;
2. accetti che quella casella resti lì dov’è, diversa da quelle che la circondano. E magari, col tempo ti accorgi che è proprio lì che quella casella deve stare.
C’è anche una terza scelta volendo: lasciare il cubo totalmente scombinato, addirittura trovare la “scombinazione” più gradita, accettando ed anzi apprezzando che le diversità sussistano e si armonizzino. È una terza possibilità che suggerisco a quanti sono in vena di emozioni (non necessariamente forti), a quanti gradiscono un tantinello di brio, a quanti riescono ad accostare – trovando l’abbinamento perfino bello – Keith Haring e Antonello da Messina, Pollock e Beato Angelico. Insomma, a quanti vogliono Vivere. Per gli altri c’è Marzullo (senza rancore, Gigi).

Ultime note: sono rinvenibili on-line parecchi metodi per risolvere il rompicapo; da qualche parte in UK stanno verificando (scienziati matematici, pfui!) il numero minimo di mosse per uniformare le facce (una quarantina); esiste un campionato mondiale di Cubo di Rubik, dove la gente si sfida a comporlo in tempi brevissimi (pare 30-40 secondi con l’uso delle mani; tuttavia, si sfidano anche utilizzando varie altre parti del corpo).

Lo spot di una recente vettura di Italica produzione era interpretata da un grande attore a stelle e strisce, Geremy Irons; il messaggio che passava, avulso dal contesto pubblicitario, è molto intelligente, a mio parere. Recitava all’incirca così: non è importante dove vai, ma come ci arrivi. Parafrasi: la parte più importante del viaggio non è la destinazione, ma il percorso.
Insomma, se so come risolvere il cubo, con quante mosse e magari in quanto tempo… perché devo mettermi a risolverlo, che senso ha?!

Forse non sarà chiaro il perché della canzone scelta; forse, invece, sarà chiaro, chiarissimo. Dico solo, concludendo, che quello che succede tra la partenza e l'arrivo è da gustare. Anche quando è amaro (cioccolato fondente extra bitter 99% cacao).

Battisti Lucio (Poggio Bustone 5 marzo 1943 – Milano, 9 settembre 1998), cantautore Italiano dalla fine degli anni '60 alla fine dei '90 (dall'86 ha collaborato con Panella); ha segnato un'epoca, oltre che un paio di generazioni. La sua non era una voce 'bella'. Però era ed è inconfondibile.

Era il 1977. Una sorta di Easy Riders reloaded.

Sì, viaggiare

Quel gran genio del mio amico
lui saprebbe cosa fare,
lui saprebbe come aggiustare
con un cacciavite in mano fa miracoli.

Ti regolerebbe il minimo
alzandolo un po'
e non picchieresti in testa
così forte no
e potresti ripartire certamente non volare
ma viaggiare.

Sì viaggiare
evitando le buche più dure,
senza per questo cadere nelle tue paure
gentilmente senza fumo con amore
dolcemente viaggiare
rallentando per poi accelerare
con un ritmo fluente di vita nel cuore
gentilmente senza strappi al motore.

E tornare a viaggiare
e di notte con i fari illuminare
chiaramente la strada per saper dove andare.
Con coraggio gentilmente, gentilmente
dolcemente viaggiare.

Quel gran genio del mio amico,
con le mani sporche d'olio
capirebbe molto meglio;
meglio certo di buttare, riparare.

Pulirebbe forse il filtro
soffiandoci un po'
scinderesti poi la gente
quella chiara dalla no
e potresti ripartire
certamente non volare
ma viaggiare.

Si viaggiare…

giovedì 18 ottobre 2007

Nietzsche

"In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte."
E con questo la si smetta di parlare di fantasia, immaginazione e loro inesauribili possibilità...

Scherzi a parte, il teutonico pensatore Sig. Friedrich Nietzsche ha sintetizzato in questo modo un caposaldo della propria filosofia, il c.d. eterno ritorno dell'uguale.
La vita non sarebbe altro che una routine, dunque? I "déjà vu" (quei momenti nei quali ci sembra di star vivendo attimi già vissuti in precedenza) sembrerebbero confermarlo. In fin dei conti, non dovrebbe essere così terribile, vivere una vita di ripetizione: si potrebbe rimediare sempre, ad ogni cosa. Non mi dite che non avete mai pensato: "Ehi, se potessi tornare indietro farei (oppure) direi...".
Ma un mondo del genere sarebbe senza scopo, perché - per fare un esempio - pur arricchendoci di colpo, torneremmo entro breve poveri... Sarebbe un andamento a fisarmonica, un'altalena logorante per i nervi.
Figurarsi poi se un mondo di tal fatta fosse creato con l'altro desiderio umano, quello della vita eterna!!!

Però... In realtà non saprei dire se davvero sarebbe così male... Pensate: potendo decidere che momento vivere in continuo loop... Io rivivrei un momento durato almeno due anni, l'inizio della Storia d'Amore con la mia ex.
E chi non vorrebbe riviverlo, il momento più bello della propria Storia d'Amore con la 'A' maiuscola?!?! Io ci metterei la firma. Soprattutto perché quella storia è finita e a me non va giù.
Però si dice che non vada bene perdersi in un solo momento: non si cresce, non si matura e si spreca tempo.
Giusto, verissimo e sacrosanto. E poi, sentite un po', mi ha lasciato?! Beh, vuol dire che doveva andare così, che diamine! Mica posso piangermi addosso perché lei lei lei mi manca! E poi di donne ce ne son tante, a 'sto mondo, no?! Ecco, allora ho tutte le possibilità di trovarmene un'altra. Come lei!...

Il pezzo di oggi è di un tal Robbie Williams, già sedicente Take That, ora belloccio solista sempre in bilico tra inferno e paradiso: gli ultimi rumors lo dànno fervente cattolico, i penultimi lo dicevano drogato sfatto. Insomma, il tizio bazzica gli eccessi - "giusti" o "sbagliati" - senza far differenze. Basta eccedere.

Letteralmente, il titolo si dovrebbe tradurre con "eccitato". Il che si adatta al Sig. Williams prima maniera. A me sembra che l'eccitazione principale sia quella amorosa, che sfocia naturalmente in quella fisica.

Sexed Up

Loose lips sunk ships
I'm getting to grips with what you said
No it's not in my head
I can't awaken the dead
Day after day

Why don't we talk about it
Why do you always doubt that there can be a better way
It doesn't make me wanna stay

Why don't we break up
There's nothing left to say
I got my eyes shut
Praying they won't stray
Oh we're not sexed up
That's what makes the difference today
I hope you blow away

You say we're fatally flawed
When I'm easily bored
Is that OK?
Strike me off your list
Make this the last kiss
I walk away

Why don't we talk about it?
I'm only here don't shout it
Give 'em time, you'll forget
Let's pretend we never met

Why don't we break up?
There's nothing left to say
I got my eyes shut
Praying they won't stray
Oh we're not sexed up
That's what makes the difference today
I hope you blow away

Screw you
I didn't like your taste anyway
I chose you
That's all go to waste it
It's Saturday I'll go out and find another you

Why don't we?
Why don't we break up?
There's nothing left to say
I got my eyes shut
Praying they won't stray
Oh we're not sexed up
That's what makes the difference today
I hope you blow away
I hope you blow away
I hope you blow away

mercoledì 19 settembre 2007

Autostrada e anni '80

Durante la gita a Roma, nel mio quarto anno di superiori, noi gitanti abbiamo avuto la necessità di fruire del servizio autobus, prendendo un mezzo che ci portasse dalla stazione Termini fino alla fermata più vicina all'Hotel che ci ospitava; la necessità nasceva dal voler evitare l'imbarazzante fuoco di fila dei piccioni che assediavano la menzionata stazione e che, furfanti canaglie, sembravano attendere i passanti appiedati per bersagliarli con i propri fastidiosi rifiuti organici.
Trovata la linea giusta per noi, siamo saliti immediatamente sul bus, che però avrebbe iniziato la sua corsa circa dieci minuti dopo. Il cinquantacinquenne autista, esterrefatto (non ho ancora capito se dal fatto che tanta gente prendesse il bus a quell'ora tarda, oppure se dal fatto che tanta gente corresse. Forse, soltanto dal fatto che qualcuno stesse correndo a Roma...), squadrandoci sornione, disse: "Ma 'ndo annate, ao'?"; ricevuta la nostra risposta e localizzata mentalmente la destinazione (per la verità non molto distante), volle sapere l'arcano motivo per il quale non intendessimo raggiungere la meta a piedi. Conosciuto anche questo dettaglio, da conoscitore delle zone battute dai piumati bombardieri ci rassicurò sul futuro dei nostri indumenti: "Qui o llà, ma 'ndo scappate?!...".
Per i minuti successivi ci intrattenne con domande, brevi anneddoti e qualche battuta. Alla fine, poco prima di scendere, volle regalarci la perla di preziosa saggezza che fino ad allora c'era rimasta ignota e, tra il mattatore e l'istrione, ci disse: "'A vita è bbella perchè è avariata!"

In effetti non aveva tutti i torti, ché il paradosso ci circonda. Che si può dire di un mondo dove la Coppa America - il più prestigioso premio velico - è detenuta dalla (comunque meritevole) squadra elvetica, considerato che la Svizzera non dispone di sbocchi al mare? Dove il primo posto tra i golfisti - sport tradizionalmente da "bianchi" - appartiene al bravissimo Tiger Woods, persona di colore? Dove i comici tirano le orecchie ai politici?
Però se la vita funziona lo stesso significa che erano tutti i nostri preconcetti ad essere sbagliati e quindi è il nostro modo di concepire la vita, che alla fine sembra andato a male.

Ci riempiamo di illusioni e, per quanti sforzi facciamo in seguito per rimanere nel piano della realtà, siamo portatori sani di utopie, sogni, chimere, voli pindarici e quant'altro porti la famiglia allargata del buon Morfeo.
Siamo esseri limitati, in un mondo limitato. Siamo pieni di limiti.
E a spiegarci il senso dell'esser limitati è (altro paradosso) una casa automobilistica: "Se non avessimo limiti, non potremmo superarli.". I pubblicitari che hanno pensato lo spot l'hanno concepito bene, dando uno spunto di riflessione sul prodotto, ma anche sul senso della vita in genere.
Il senso della vita, già: quella cosa che per molti è ancora un denominatore comune delle vite di tutti, un qualcosa di assolutamente uguale per Ted negli USA, per Soren in Svezia, per Yuri in Russia, per Mario in Italia, per Yanping in Cina o Raùl a Cuba. In cosa consista questo denominatore è ancora ignoto. Ma è una bella sfida, no? Quasi come arrivare alla vita eterna o scoprire la fonte dell'eterna giovinezza.
Ovviamente non è il senso della vita, ma è un'aspirazione di molte popolazioni in tutte le parti del mondo. Perché alla fine invecchiamo tutti, sapendo che cosa ci aspetta in un dopo che preghiamo sia il più lontano possibile.

Forse il senso della vita è questo, ossia dare un senso, IL NOSTRO SENSO, alla nostra vita. Possibilmente, senza turbare le altrui esistenze. E - concediamocelo pure, come la ditata nel barattolo di Nutella - continuando a mantenere, di tanto in tanto, una sana giovanile spensieratezza, un briciolo della speranza di restare sempre giovani.
Il brano che propongo è noto e stranoto, non può non esserlo. Mi ricorda un viaggio in autostrada con un amico, alla volta di Trieste, nel luglio del 2003. Si ascoltava una stazione radio che trasmetteva solo musica anni '80. Ad un tratto la radio ha passato questo pezzo, che abbiamo riascoltato molto volentieri.
Pur essendo un'esecuzione di studio, resta un'impronta un po' dilettantesca di base. A mio giudizio, è il punto di forza del brano, che così riesce a dare un'emozione (direi di purezza) in più.

Signore e signori, con Forever Young, gli Alphaville.

Let's dance in style
let's dance for a while
Heaven can wait were only watching the skies
Hoping for the best but expecting the worst
Are you going to drop the bomb or not?

Let us die young or let us live forever
We don't have the power but we never say never
Sitting in a sandpit, life is a short trip
The music's for the sad men

Can you imagine when this race is won
Turn our golden faces into the sun
Praising our leaders we're getting in tune
The musics played by the madmen

Forever young, I want to be forever young
Do you really want to live forever, forever and ever

Some are like water, some are like the heat
Some are a melody and some are the beat
Sooner or later they all will be gone
Why don't they stay young

It's so hard to get old without a cause
I don't want to perish like a fading horse
Youth is like diamonds in the sun
And dimonds are forever

So many adventures couldn't happen today
So many songs we forgot to play
So many dreams are swinging out of the blue
We let them come true

Forever young, I want to be forever young
Do you really want to live forever, forever and ever

mercoledì 29 agosto 2007

Gravi difficoltà

Premetto d'esser consapevole che quanto seguirà ha un certo grado di banalità congenita. Tuttavia, per quanto banali, i ragionamenti che vado a proporre non sembrano sufficientemente agevoli da comprendere per molte, mooooooolte persone.

Magari qualcuno lo sa, sa davvero cosa stia accadendo al genere umano o quantomeno alla sua parte deteriore.
Aprite un giornale qualunque, seguite un radio- o tele-giornale e fateci caso: si parla di morti, ammazzamenti, assassinii, ammazzatine, scorticamenti e di altri graziosi incubi alla Dario Argento featurin' Alfred Hitchcock.
I mezzibusti, alla fine dei notiziari, augurano pure la buona giornata o serata o quel che è; lo fanno per cortesia e per contratto, immagino, ma ogni volta mi chiedo se non stiano facendo della cinica ironia. Provate a pensare: "Tagli alla spesa sociale, aumento della pressione fiscale, mancato rinnovo dei CCNL, sbarchi di clandestini irregolari di cui tot deceduti durante il trasbordo, assassinio inspiegabile in una casa bene della tal provincia, trovati due cadaveri dissezionati (di cui pare nessuno abbia sentito la mancanza n.d.a.), strage annunciata in tal Paese del Terzo Mondo, il calciatore professionista (professionista, il che dovrebbe comportare controlli sanitari continui!!) Tal dei Tali schiatta in ospedale perché il cuore ha infine deciso di cedere dopo alcuni giorni di tentennamenti, borse mondiali in ribasso. Grazie per l'attenzione e buon proseguimento di serata." Ma quale buona serata!?!

Il fatto è che il genere umano è preso da isteria: non si fatica certo a trovare la persona disposta a fregarti per un qualunque cosa, mica solo per soldi, droga o altro. E la cosa triste è che non ci si rende conto del fatto che si starebbe tutti meglio stando tranquilli, rispettandoci l'un l'altro.
In fin dei conti, siamo tutti sulla stessa barca, di forma più o meno sferica, che gira sospesa nel vuoto. Siamo ogni giorno a contatto con qualcuno in grado di farci le scarpe, in grado di farci del male; d'altronde, spesso e volentieri siamo noi stessi a far del male a qualcuno gratuitamente, con leggerezza e senza pensarci su troppo. Perché "tanto che mi frega?!".

Un amico mi dice che i Francesi sono un popolo di perdenti. Dice che da soli non hanno mai vinto una dannatissima guerra che fosse una. E la Rivoluzione Francese non conta, ché lì necessariamente avrebbero vinto: c'erano solo loro a combattere. Anche qui, gli uni contro gli altri, a farsi del male.
Qualcuno dirà che dalla Rivoluzione sono uscite le tre parole magiche liberté, egalité, fraternité. Ha ragione, sono state urlate al mondo. Il mondo ha imparato che alla loro ombra è possibile costituire il Terrore (chi volesse approfondire clicchi su http://cronologia.leonardo.it/storia/a1793d.htm) e che, in fondo, la magia non esiste (d'altronde, la stessa Rivoluzione è un portato dell'illuminismo...) e che pertanto quelle tre parole non hanno gran significato.

Ormai ci si aggrega in minime comunità, piccoli commandos per sopravvivere al mondo civile, un gruppetto contro l'altro.
Mio nonno ha fatto la II guerra mondiale. E mi ha raccontato poco delle sue "avventure". Di tutto quel poco che ha raccontato, mi è rimasto impresso il suo punto di vista sulla guerra: combatteva contro altri ragazzi suoi coetanei, altri nella sua situazione. O lui fregava il nemico, o il nemico fregava lui. Un po' com'è per noi adesso.
Siamo ancora in guerra, insomma. Non più tra Stati, un esercito contro l'altro, ma per nostra scelta, tra piccoli gruppetti di civili, tra sparuti gruppi uno uguale all'altro.

Avete mai sentito parlare delle Isole Falkland, anche dette Isole Malvine? Sono un piccolo arcipelago dell'Atlantico meridionale, nei pressi dell'Argentina. Sono state al centro di un conflitto - di breve durata, per carità - tra quest'ultimo Paese ed il Regno Unito. Una guerra iniziata per motivi inutili dall'Argentina, a cui il Regno Unito si è opposto strenuamente, ottenendo una vittoria fondamentale sullo scacchiere mondiale...
Queste isole hanno poche risorse (forse del petrolio, forse; in ogni caso niente di eclatante) economicamente allettanti, praticamente nessuna. La guerra per il loro dominio era fondata da motivi chiaramente politici (http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_delle_Falkland) interni ai due Stati.
Questi motivi si sono nutriti con 904 morti totali e 1845 feriti.
Quale senso hanno avuto, quei morti e feriti?

Quale senso ha ammazzare qualcuno, ferirlo o fargli del male in qualunque modo?

Penso che il Signor Mark Freuder Knopfler abbia pensato a tutte queste cose, nel 1982, durante il conflitto.
Lui era già famoso, in quanto leader dei Dire Straits. Knopfler, personaggio singolare del panorama musicale è sempre stato uno in controtendenza (tanto per darvi un'idea: è un mancino e suona la chitarra come un destrorso; è chitarrista elettrico ma con tecnica 'fingerstyle'; suona un rock pacato e facilmente metabolizzabile ed è arrivato al successo - con la band - durante il trend del punk dei Sex Pistols).
Nell'82 ha vissuto da spettatore il drammatico momento delle Falkland. E se ne è venuto fuori con un pezzo tra i più toccanti del genere, nel quale non si esprimeva né a favore né contro i contendenti ma ragionava sulla situazione, arrivando alla (non troppo) ovvia conclusione che è assurdo farci del male a vicenda.
Meditate, gente, meditate.

Dall'omonimo album del 1985

Brothers in Arms

These mist covered mountains
are a home now for me
but my home is the lowlands
and always will be
some day you´ll return to
your valleys and your farms
and you´ll no longer burn to be brothers in arms

Through these fields of destruction
baptisms of fire
I´ve watched all your suffering
as the battles raged higher
and though they did hurt me so bad
in the fear and alarm
you did not desert me my brothers in arms

There´s so many different worlds
so many different suns
and we have just one world
but we live in different ones

Now the sun´s gone to hell
and the moon´s rising high
let me bid you fare well
every man has to die
but it´s written in the starlight
and every line on your palm
we are fools to make war
on our brothers in arms
on our brothers in arms

lunedì 6 agosto 2007

Galileo e il Bigfoot

Il prototipo dello scienziato moderno disse: «Eppur si muove!».
Lo disse davvero? C'è chi sostiene che no, trattasi di frase messa artificiosamente in bocca al Galilei, in modo da esaltarne la certezza sulle sue proprie scoperte in campo astronomico.
Che l'abbia detta o meno, il punto va messo sull'enfasi e sul senso di quelle parole, che sembrano urlare un'oggettività evidentissima che però la massa miope non riesce a vedere.
Il pisano tanto vedeva nitidamente la sua scoperta quanto era sconfortato dalla cecità di chi gli stava intorno. Il tribunale dell'inquisizione infatti lo costrinse - ed egli si rassegnò - ad abiurare le sue scoperte.

Cose che succedono, in campo scientifico. Non essere creduti è un destino toccato a molti. Primo non in ordine temporale è Giordano Bruno. Astronomicamente è capitato a Galileo e a Copernico. In altri campi conoscitivi si possono trovare furibonde lotte per affermare un'idea piuttosto che un'altra (la battaglia tra creazionisti ed evoluzionisti è ancora feroce proprio negli USA).
Fondamentalmente si tratta, spesso e volentieri, di lotte combattute per un'ideologia e quasi sempre quell'ideologia è di tipo religioso.

Gli ambiti scientifici più seri però si affidano solamente all'oggettività.
La fiorentina Margherita Hack non si interessa di religione; però combatte con la ragione contro chi parla di UFO, argomentando: ad oggi non è oggettivamente plausibile l'esistenza di una civiltà extraterrestre tanto evoluta da poter costruire mezzi in grado di solcare lo spazio a velocità tale da giungere sulla Terra, perché il fattore tempo è impeditivo. Insomma, l'elevata velocità non può aggirare l'ostacolo dell'enorme distanza. Con ciò, essa non nega l'esistenza di civiltà aliene, perché sarebbe statisticamente assurdo pensare di "essere soli".

E chi afferma di aver visto gli UFO e soprattutto i loro proprietari? Ci si crede o no?
E chi afferma (per riportare sul solo pianeta Terra) di aver visto chessò, il lo Yeti o il Bigfoot?
CHI???!!!
Lo Yeti o il Bigfoot, dai! Si tratta in ambo i casi di una sorta di scimmione, più o meno grande, più o meno peloso, più o meno brutto. Cambia solo la "location": lo Yeti si aggira sul cocuzzolo dei monti Himalayani, mentre il Bigfoot vaga nel Nordamerica. Oddio, cambia anche il livello estetico, se è vero che lo Yeti è anche detto "abominevole uomo delle nevi": il cugino d'america questa definizione vezzosa non ce l'ha.

Ad ogni modo, chi dice d'aver visto 'sto benedetto Bigfoot, l'ha visto davvero? Chi afferma d'aver messo le mani dove il primate aveva messo il piedone, le mani ce le ha messe sul serio?
Dell'ominide peloso americano resta un documento visivo (mentre sui monti innevati nulla), girato nel '67 da due cacciatori, Roger Patterson e Bob Gimlin.
Patterson ha continuato a giurare sulla veridicità del filmato fino alla morte. Gli si crede o no? Attenti che qui si rischia di fare come il Sant'Uffizio con Galileo, nientemeno!!!
Patterson ha affermato d'aver visto, guardato e quasi odorato 'sto mito del Bigfoot. Un po' come chi dice d'aver vissuto un grande amore. Alcuni dicono una cosa del genere, ebbene sì. Le riviste scientifiche maggiormente accreditate si rifiutano di dar visibilità a voci e dicerie del genere, ma sembra che questi fenomeni esistano davvero, pur nascosti dalla scienza ufficiale come il gemello di Luigi XIV nella maschera di ferro (stando ad un ramo della leggenda).

I riscontri oggettivi però fanno propendere per la realtà e serietà di queste voci. In passato accadeva addirittura che, al pari di Patterson buonanima, i "congiurati del Grande-Amore-Della-Vita riuscissero a fissare alcuni avvenimenti su un arcaico supporto, un filmino super8, magari reperto del periodo feriale, in cui si vedono immagini sfocate, che non sempre danno la possibilità di identificare con certezza l'identità ed effettività del grande amore.
Oltre al filmino, anzi, a prescindere da esso, chi afferma con baldanza d'aver vissuto un amore tanto grande conserva anche una strana luce nello sguardo, riflesso di una qualche stella di diamanti che gli è piombata come un meteorite sul cuore (attenti, S. Lorenzo è vicino...), lì rimanendo incastonata per sempre.

Quest'emozione c'è, esiste. E non ci sono parametri scientifici in grado di documentarla. Il passaggio dallo sguardo normale a quello innamorato ho provato a renderlo con Closing Time (Post "Il nome della Rosa" del 25.06.2007). Qui si tratta di rendere le prime fasi dell'amore, l'innamoramento già presente, l'ineffabile incomprensibile inspiegabile caos psico-metabolico di quando ci si rende conto che Cupido ha bersagliato proprio noi, centrando in pieno il suo obbiettivo.

I Counting Crows sono la band selezionata per oggi. Loro sono di Frisco, alias San Francisco, California. Iniziano a suonare nel '91 (primo album nel '93: August and Everything After) segnando un ritorno al rock tranquillo degli inizi, quasi (quasi) politicamente corretto, in grado di rendere bene il mood della gioventù della provincia americana.

Nel 2004 pubblicano il brano conclusivo di questo post, un pezzo quasi vorticoso, allegro, scanzonato, a volte in controtempo. Come il cuore dell'innamorato al cospetto della persona amata. Pezzo entrato, tra l'altro, nella colonna sonora di Shrek 2.

Parlo di Accidentally in love (provate a dirmi che non vi sembra un pezzo da innamorato!!!)

So she said what's the problem baby
What's the problem I don't know
Well maybe I'm in love (love)
Think about it every time
I think about it
Can't stop thinking 'bout it
How much longer will it take to cure this
Just to cure it cause I can't ignore it if it's love (love)
Makes me wanna turn around and face me but I don't know nothing 'bout love

Come on, come on
Turn a little faster
Come on, come on
The world will follow after
Come on, come on
Cause everybody's after love

So I said I'm a snowball running
Running down into the spring that's coming all this love
Melting under blue skies
Belting out sunlight
Shimmering love
Well baby I surrender
To the strawberry ice cream
Never ever end of all this love
Well I didn't mean to do it
But there's no escaping your love

These lines of lightning
Mean we're never alone,
Never alone, no, no

Come on, Come on
Move a little closer
Come on, Come on
I want to hear you whisper
Come on, Come on
Settle down inside my love
Come on, come on
Jump a little higher
Come on, come on
If you feel a little lighter
Come on, come on
We were once upon a time in love
We're accidentally in love
Accidentally in love
Accidentally in love
Accidentally in love
Accidentally in love
Accidentally in love
Accidentally in love
Accidentally in love
Accidentally
I'm in Love, I'm in Love,
I'm in Love, I'm in Love,
I'm in Love, I'm in Love,
Accidentally
Accidentally
Come on, come on
Spin a little tighter
Come on, come on
And the world's a little brighter
Come on, come on
Just get yourself inside her
Love
...I'm in love

martedì 17 luglio 2007

La scuola di Atene

In Vaticano ci sono opere d'arte eccellenti, superbe sotto molteplici punti di vista. L'unica (se ci riferiamo alle arti classiche e non consideriamo il cinema) che in qualche modo non è direttamente ed esplicitamente presente è la musica, la quale, dato il suo necessario dinamismo, non è proponibile con costanza. Quel piccolo angolo è tutto un florilegio di strutture, giardini, dipinti, statue, gioielli non solo d'oreficeria.
Vi sono alcune sale, quelle dette "di Raffaello", magnificamente affrescate. Una di queste si chiama "La scuola di Atene", appunto. L'artista (che ha dipinto il suo faccino quale firma in angolo basso a sinistra, in abito e copricapo nero, mentre guarda l'osservatore) ha lì rappresentato un 'ateneo', un luogo dov'era possibile imparare tutto lo scibile umano allora conosciuto. E' riconoscibile un omaggio anche a Michelangelo, che nello stesso tempo stava lavorando qualche metro e qualche muro più in là (è raffigurato seduto pressoché al centro, poggiato su un cubo di marmo e rappresenta il filosofo Eraclito).

Al centro vero e proprio si trovano i due campioni filosofici pre-cristiani, due che non avevano conosciuto la buona novella ma (chissà, avranno avuto più culo che anima... Scusate il francesismo...) la cui filosofia calzava perfettamente - se sapientemente mixata - con l'insegnamento evangelico: si tratta di Platone ed Aristotele.
Il primo è il barbuto signore anziano che imperiosamente indica il cielo, l'"iperuranio", il mondo metafisico delle 'idee', in particolare dell'idea suprema. Il secondo è, ovviamente, quello giovane, che sembra placare l'imperiosità del maestro con il gesto della mano; l'interpretazione tradizionale vuole invece che il buon Aristotele indichi la terra e dunque il concetto di immanenza e concretezza delle cose, quasi un proto-empirico galileano.

Mi piace pensare che queste due figure stiano ad indicare i due lati dell'essere umano, tanto capace di raziocinio, fantasia e poesia, quanto in grado di atti che Nightmare nemmeno nei suoi incubi peggiori né con i suoi istinti più bassi.
L'individualità composta dai due sommi filosofi è compatta, sicura, perfino maestosa, tanto che la stessa impostazione prospettica parte da lì, quasi a dire che tutto si regge su loro. Il trionfo dell'individualità e che individualità: il giusto bilanciamento di cuore e cervello, istinto e ragione; un individuo completo, insomma. Non qualcuno che non sbaglia mai, ma un soggetto che dai propri errori sa trarre i giusti insegnamenti. Non uno che non si lascia mai andare, ma uno che sa quando e come permetterselo.
L'equilibrio di ragione e follia.

Vasco, nel suo brano Sally, lo dice in modo splendido: "perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia". Può capitare di perdere l'equilibrio. Ma ci si deve rendere conto di averlo perduto e si deve cercare di recuperare la posizione. Razionalizzare troppo è fuorviante quanto non razionalizzare affatto.
La scuola di Atene mi fa pensare quasi subito, per una strana associazione di idee, a G. Flaubert ed al suo capolavoro, Madame Bovary. La protagonista è un donnino che, grazie al matrimonio con un medico, riesce ad uscire dalla propria condizione di popolana contadinotta per entrare nella media borghesia francese. Il cambio di condizione sociale non è sufficiente a soddisfare i desideri della signora, che sogna un suo mondo ideale di romanticismo e poesia e bei sentimenti. Il sogno però non riesce a combaciare con la realtà. Allora M.me Bovary si sforza di inseguire, perseguire la strada del sogno, tralasciando totalmente - per quanto può - la realtà in cui si trova, almeno fino a quando la stessa realtà non è così pressante da imporsi. La nostra eroina allora si risolve nell'ultimo rifiuto di essa e si toglie la vita.

Questo modo di vivere non è solo un'invenzione di Flaubert. Questi infatti si era ispirato ad una vicenda reale, quella di Delphine Delamare. Questa aveva suscitato scandalo in un borgo della Normandia, per le sue manie di grandezza, le spese eccessive e la voracità nel leggere romanzi, infine si era suicidata, perchè travolta dai debiti.
M.me Delamare non è stata l'unica a vivere così ed anzi sono molti quelli che non mediano in sé stessi tra sogno e realtà.
L'eroina di Flaubert sceglie una realtà fittizia che le da maggiore gratificazione. Barbey D'Aurevilly ha pertanto coniato (già da subito dopo la pubblicazione del romanzo) il termine "bovarismo" ad indicare l'attitudine degli esseri umani a credersi e a vedere le cose diversamente da quelle che sono, a sognare delle felicità irrealizzabili, irraggiungibili. Queste persone non hanno in sé nessun Aristotele che li riporti alla realtà e credo che, se lo avessero, non lo ascolterebbero comunque.

Per quanto ne so, vivere è difficile per tutti, più o meno. Lo dico con gli Eagles: take it easy.
E chiudo con la solita canzone, che porta relax e consiglio.
Lei è Des'ree, cantante inglese che ha avuto qualche successo negli anni '90 in Italia. Nel '93 ha duettato con Terence Trent D'Arby nel brano "Delicate". L'anno dopo ha pubblicato questo bel pezzo.
Luci soffuse, musica soft e un cuscino sotto la testa. Chi gradisce può anche addormentarsi durante l'ascolto (qualora - bontà sua - non l'abbia già fatto prima...).

You Gotta Be

Listen as your day unfolds
Challenge what the future holds
Try and keep your head up to the sky
Lovers, they may cause you tears
Go ahead release your fears
Stand up and be counted
Don't be ashamed to cry

You gotta be...
You gotta be bad, you gotta be bold, you gotta be wiser
You gotta be hard, you gotta be tough, you gotta be stronger
You gotta be cool, you gotta be calm, you gotta stay together
All I know, all I know, love will save the day

Herald what your mother said
Read the books your father read
Try to solve the puzzles in your own sweet time
Some may have more cash than you
Others take a different view
My oh my, yea, eh, eh

You gotta be bad, you gotta be bold, you gotta be wiser
You gotta be hard, you gotta be tough, you gotta be stronger
You gotta be cool, you gotta be calm, you gotta stay together
All I know, all I know, love will save the day

Time ask no questions, it goes on without you
Leaving you behind if you can't stand the pace
The world keeps on spinning can't stop it, if you tried to
This best part is danger staring you in the face

Listen as your day unfolds
Challenge what the future holds
Try and keep your head up to the sky
Lovers, they may cause you tears
Go ahead release your fears
My oh my, eh, eh, eh

You gotta be bad, you gotta be bold, you gotta be wiser
You gotta be hard, you gotta be tough, you gotta be stronger
You gotta be cool, you gotta be calm, you gotta stay together
All I know, all I know, love will save the day
Yea, yea, yea

You gotta be bad, you gotta be bold, you gotta be wiser
You gotta be hard, you gotta be tough, you gotta be stronger
You gotta be cool, you gotta be calm, you gotta stay together
All I know, all I know, love will save the day
Yea yea

Got to be bold
Got to be bad
Got to be wise
Do what others say
Got to be hard
Not too too hard
All I know is love will save the day
You gotta be bad, you gotta be bold, you gotta be wiser
You gotta be hard, you gotta be tough, you gotta be stronger
You gotta be cool, you gotta be calm, you gotta stay together

lunedì 16 luglio 2007

Seven

No, non è un riferimento alla nota marca di zaini scolastici "un sacco diversi".
Il riferimento immediato è al film di David Fincher del 1995, con un bel cast (Brad Pitt, Morgan Freeman, Gwyneth Paltrow ed uno straordinario Kevin Spacey prossimo all'oscar, nel '99). Il film narra una vicenda complessa, che si sviluppa attorno alla follia di un serial killer di particolare crudeltà e bigottismo, il quale si crede mandato dal Signore allo scopo di mostrare all'umanità i propri errori, costituiti dai sette peccati capitali. Il killer (chiamato John Doe, come a dire "sconosciuto") mette in scena gli errori mortali dell'umanità con una ferocia ed un sadismo incredibile, mettendo in crisi la polizia locale ed in particolare i due poliziotti titolari dell'inchiesta. Il poliziotto giovane è quello più toccato dalla follia del pazzo.

L'ultimo peccato, quello che "chiude" la vicenda, è l'ira; dopo un'analisi superficiale, direi che questo è il "peccato" più bastardo e meno tollerato. Accidia, superbia, gola, avarizia, invidia e lussuria hanno infatti trovato tolleranza, accettazione e talvolta piena accoglienza presso il genere umano: i centri-benessere - oasi pagate per non farci far nulla in totale relax - per l'accidia; ristoranti da cordon-bleu pieni di stelle che nemmeno a San Lorenzo per la gola; le liste VIP in ogni locale per poter dire "io c'ero" - senza badare se il 'dove' o il 'perché' avrebbero urlato vendetta - per la superbia; l'invidia è considerata come sprone, talvolta come pungolo, talaltra ancora diventa una scusa per poter dire falsità alle spalle di qualcuno, con buona pace della coscienza; il fare sesso ad ogni occasione non è più lussuria, ma una sorta di sport, senza i fastidi degli abiti ed accessori High-Tech; l'avarizia forse resta il meno apprezzato: chi è avaro non si permette gli altri peccati/lussi, per cui non godrà del plauso popolare ma non avrà i sensi di colpa dello Zio Scrooge del Canto di Natale di Dickensiana memoria (in realtà, però, l'avarizia è peccato - nell'ambito religioso - solo quando fa sì che non si dia l'obolo per il culto o per i mendicanti).

Ma l'ira...
Quella vera, originale e senza compromessi, l'ira che parte dallo stomaco e come i cerchi nell'acqua arriva tutto attorno, un'onda d'urto ripetuta, fino ad investire qualunque entità si trovi nei pressi e, investendola, crei danni talvolta irreparabili: l'ira non è accettata.
"Ero fuori di me", "ero in bestia", queste sono espressioni correnti che fanno capire come l'ira, al contrario delle sei consorelle sopra nominate, non sia riconosciuta come cosa umana o umana razionale.
In effetti, chi prova (ed agisce con) ira lede sé stesso e (talvolta) gli altri in un modo molto più diretto, visibile ed immediato rispetto a chi mangia tanto, chi fa sesso, chi non fa un beneamato, chi non spende, chi fa mostra di sé o chi vorrebbe potersi mettere in mostra.
Talvolta, però, è necessario buttare fuori la rabbia, la furia; è necessario trovare uno sfogo immediato alla cattiveria propria dell'animale umano, cattiveria a volte dovuta all'incomprensione, al non essere capiti o all'essere fraintesi, dando così la stura ad una repressione che credo sia più dannosa ancora, perché porta all'indifferenza, all'assenza di emozioni verso chi ci circonda.
L'esplosione di un vulcano sommerge tutto con pietra e ceneri incandescenti, lava, lapilli e molti altri simpatici gadgets per chi vince la gara di sopravvivenza. Ma quella devastazione è anche molto, molto fertile, sol che si lasci passare un tempo adeguato. Per questo ritengo utile e fruttifera anche l'ira. Basterebbe riuscire ad incanalarla correttamente, indirizzandola nel modo più opportuno. Forse non sarebbe più la stessa cosa.
Forse non sono soggetto all'ira feroce. Quando mi capita di montar su tutte le furie però riesco - lentamente - a tranquillizzarmi. Al solito, ci vuole la musica. Ad alto volume. Al limite della sopportazione. Al limite massimo dell'ira vera e propria, tanto contro chi l'ha provocata, quanto contro me stesso. Compulsivamente riascolto anche più volte il brano, uno solo, quello di oggi, che a quel punto è divenuta un mantra che placa l'animo.

I Linkin Park, gruppo statunitense con le radici californiane, iniziano il loro percorso nel '96, incanalandosi in una corrente nuova, il 'nu metal' (stesso genere dei Limp Bizkit; anzi, il brano di oggi potrebbe essere, dall'album Chocolate Starfish and the Hot Dog Flavored Water, del 2000, il loro "Take a look around", già parte del film Mission: Impossible 2, ma mi dà meno l'idea di qualcosa che sta per esplodere). I ragazzi diventano subito esponenti di spicco di questo filone, poiché il loro mix Hip-Hop/Rap/Rock cattivo è stato convincente, soprattutto negli albums Meteora e Collision Course. Vedremo con i prossimi.

Buon ascolto

Somewhere I belong

I had nothing to say
And I get lost in the nothingness inside of me
(I was confused)
And I live it all out to find, but I'm not the only person wit these things in mind
(inside of me)
But all that they can see the words revealed is the only real thing that I got left to feel
(nothing to lose)
Just stuck hollow and alone and the fault is my own and the fault is my own

I wanna heal I wanna feel what I thought was never real
I wanna let go of the pain I've felt so long
Erase all the pain til it's gone
I wanna heal I wanna feel like I'm close to something real
I wanna find something I've wanted all along
Somewhere I belong

And I got nothing to say I can't believe I didn't fall right down on my face
(I was confused)
Look at everywhere only to find it is not the way I had imagined it all in my mind
(so what am I)
What do I have but negativity
Cuz I can't trust no one by the way everyone is looking at me
(nothing to lose)
Nothing to gain I'm hollow and alone
And the fault is my own and the fault is my own

I will never know myself until I do this on my own
Cuz I will never feel anything else until my wounds are healed
I will never be anything til I break away from me
I will break away
I'll find myself today

venerdì 6 luglio 2007

Sudoku

Il titolo del post rimanda al gioco-tormentone, ovviamente.
Black Angel ha commentato il precedente post "Estate" con un originalissimo "che fantasia". Forse ha ragione, non era molto fantasioso, come post. Parlava di cose banali, come i ricordi personali e le emozioni...
Cosa c'entrano le due cose? Io credo siano collegate.
Il sudoku è l'ennesimo puzzle di numeri, da 1 a 9, che vanno utilizzati - nella versione classica - per riempire una griglia di 81 caselle, divisa in 9 riquadri di 9 caselle l'una. I numeri devono essere usati una volta sola per ogni riquadro, riga e colonna.
Il gioco utilizza cose trite e ritrite del panorama di giochi con i numeri. Eppure ha successo.
Sono convinto che Black Angel pure abbia successo, con la sua dialettica sopraffina ed il suo ragionare illuminista (non si consideri che - nell'ambito dei blog di Google - al nome Black Angel corrispondano 1434 differenti voci; di readingradio una sola: unico ma poco considerato?!).

Come il sudoku, ognuno di noi è un insieme di banalità e di originalità. L'importante è cercare di capire cosa l'altro proponga di positivo. Altrimenti si corre il rischio di essere delle isole, delle individualità chiuse ed aride. Magari chiacchierando solo con il Wilson di turno. Un po' come l'eroe di Castaway, il film con Tom Hanks.
All'uscita del film nelle sale, il pubblico che lo aveva visto lo aveva valutato come un film noioso. Non ne aveva visto il lato sociale: l'uomo evoluto moderno è spesso solo, perde il contatto con la propria emozionalità, tralascia i rapporti sociali. Dei quali ultimi ha però bisogno, tanto da dover creare un entità altra da sé per poter intrattenere rapporti umani con qualcuno, quando finalmente è "riuscito" a distaccarsi dalla società.
Lo stare con gli altri è una necessità. Il riuscire a stare con gli altri è talvolta un'arte. Il dono è saper apprezzare l'altro.
Black Angel ha commentato laconicamente e con ironia il post. Lo ha commentato, però. Di questo lo/la ringrazio (al di là del sarcasmo d'orgoglio), perché ha inteso farmi capire una mia mancanza, ossia il fatto di non riuscire ad interessare attraverso la scrittura. Per questo mi dovrò sforzare, per migliorarmi e riuscire ad entrare in comunicazione con l'altro, ricercando la lunghezza d'onda dell'altro e non comunicando solo dalla mia.

L'eroe di Castaway naufragava su un'isola deserta, tropicale. Almeno fosse capitato in Jamaica...
Bella terra, la Jamaica, e non solo per questioni, per così dire, botaniche. La cultura jamaicana recente ha dato il reggae, che coinvolge il corpo e l'anima, la parte istintiva. Io vorrei usare sempre anche il cervello ed il ragionamento riflessivo in particolare. Per questo ho scelto la canzone di oggi.

Nel '77 un batterista, un chitarrista ed un bassista costituirono una band un tantino particolare. Il genere di musica da questi prodotta fu poi definito reggae'n'roll. Parliamo dei Police. E ne parliamo dall'ottobre '79, in particolare dall'album (il secondo del gruppo) Reggatta De Blanc, quando già c'era stato un avvicendamento di chitarristi. L'album decreta il successo del trio a livello internazionale. E' interessante, certamente da un punto di vista musicale (per via del genere di musica, per via dei suoni e, secondo me, per la tecnica percussionistica ed il gusto del Sig. Stewart Copeland: il tizio deve nascondere un terzo braccio, sopra quella cintola..!) ma anche da un punto di vista di critica del mondo moderno.

Buon ascolto

Message in a bottle

Just a castaway, an island lost at sea,
Another lonely day, with no one here but me,
More loneliness than any man could bear
Rescue me before I fall into despair,

I'll send an s.o.s. to the world
I'll send an s.o.s. to the world
I hope that someone gets my
I hope that someone gets my
I hope that someone gets my
Message in a bottle, yeah
Message in a bottle, yeah

A year has passed since I wrote my note
But I should have known this right from the start
Only hope can keep me together
Love can mend your life but
Love can break your heart

I'll send an s.o.s. to the world
I'll send an s.o.s. to the world
I hope that someone gets my
I hope that someone gets my
I hope that someone gets my
Message in a bottle, yeah
Message in a bottle, yeah
Message in a bottle, yeah
Message in a bottle, yeah

Walked out this morning, don't believe what I saw
A hundred billion bottles washed up on the shore
Seems I'm not alone at being alone
Hundred billion castaways, looking for a home

I'll send an s.o.s. to the world
I'll send an s.o.s. to the world
I hope that someone gets my
I hope that someone gets my
I hope that someone gets my
Message in a bottle, yeah
Message in a bottle, yeah
Message in a bottle, yeah
Message in a bottle, yeah
Sending out at an s.o.s.
Sending out at an s.o.s.
Sending out at an s.o.s.
Sending out at an s.o.s.
Sending out at an s.o.s.
Sending out at an s.o.s...

lunedì 2 luglio 2007

Estate

Le giornate dal clima mutevole sono giunte anche quest'anno. Le scuole han chiuso i cancelli mentre si aprono i portoni degli amori estivi, quegli amori balneari dal sapore di sale che conservano immutato il loro gusto fin dagli anni '60: aroma di sabbia, crema solare e acqua di mare. Se poi la meta estiva è il mare, cambia solo il cocktail di sapore, mentre l'emozione rimane la stessa.
Il flirt estivo è un must, diciamocelo; se qualcuno non ha mai avuto una storia durante i 90 giorni dedicati all'edonismo ozioso e piacionesco, probabilmente l'ha evitata per scelta.

Questo tipo di amori nascono, crescono e finiscono in breve tempo, fuochi di paglia più o meno grandi e più o meno effimeri. Generalmente lasciano bei ricordi, piacevoli (almeno per quel che ho vissuto), in ciò facilitati dall'atmosfera generale che il periodo concede.
Qualche fuoco lascia però un segno che non se ne va più (gli amici Negramaro, nel brano Estate cantano: "e intanto il tempo passa e tu non passi mai"). Non fa male, anzi è una piccola piaghetta che fa pure piacere sentire dentro. Si tratta certo di un piacere melanconico, ma che in qualche strano modo ci gratifica.
E' proprio il periodo a permettere questo, complice anche la 'vacanza', cioè l'assenza di impegni-incombenze-pesudodoveri morali/materiali e consimili, i quali limitano il campo d'azione del cuore e impongono la dittatura del cervello. Pertanto viva l'estate, viva la salubre leggerezza che questa stagione ci porta, viva!!!

Personalmente sono affezionato al ricordo di un'estate, quella del 1998: località tranquilla, divertimenti sani, poca apparenza ostentata e molta attenzione alla sostanza delle persone, di ogni singola persona con cui si aveva a che fare. Chitarra, bongos, canzoniere e le stelle a far da lampade. Labbra che si sfiorano furtive nel cuore della canzone, trattenendo presso di sé il piacere di un momento tanto fugace, ma così confondibile con l'eternità...
La canzone. Già, la canzone è tutto quello che vi posso consegnare oggi, per rendervi partecipi di quegli attimi.

Loro sono i Michael Learns To Rock, trio pop rock (udite udite) danese, nata nel 1988, con undici albums all'attivo (di cui un doppio Greatest Hits nel '99); in Italia sono sostanzialmente ignoti al grande pubblico, a meno che non si nomini un certo amaro, la cui pubblicità era accompagnata da una loro canzone. Sia questa il meglio che abbiano mai fatto oppure no, poco importa: il brano è lo stesso (i pubblicitari però lo hanno messo attorno al 2002 negli spots!) e l'importante e che susciti emozioni, che riesca - novello e benevolo Caronte - a traghettare i ricordi piacevoli dal ripostiglio dove sono fino alla vetrina del nostro cuore.

Dall'album Played On Pepper, del 1995, vi "regalo"

Someday

In my search for freedom
and peace of mind
I've left the memories behind
Wanna start a new life
but it seems to be rather absurd
when I know the truth
is that I always think of you

Someday someway
together we will be baby
I will take and you will take your time
We'll wait for our fate
cos' nobody owns us baby
We can shake we can shake the rock

Try to throw the picture out of my mind
try to leave the memories behind
Here by the ocean
wave's carry voices from you
Do you know the truth
I am thinking of you too

Someday someway
together we will be baby
I will take and you will take your time
We'll wait for our fate
cos' nobody owns us baby
We can shake we can shake the rock

The love we had together
just fades away in time
And now you've got your own world
and I guess I've got mine
But the passion that you planted
in the middle of my heart
is a passion that will never stop

lunedì 25 giugno 2007

Il nome della rosa

Era il 1980, il primo della generazione pop. Con quell'anno inizavano i lustri dedicati all'immagine, all'apparenza, all'"avere". Era un mondo di un consumismo rosa shocking ma tutto sommato ancora naif, per il grande pubblico.
Quell'anno è stato pubblicato un libro a cui mi sono particolarmente afffezionato, quando ho avuto modo di leggerlo. Si tratta de "Il nome della rosa".

L'autore è il noto Umberto Eco, semiologo di fama accademica mondiale. Ultimamente è noto per l'imitazione radiofonica del Fiorello nazionale (un collega, siamo entrambi in radio...).

La semiologia è, con definizione semplificante, la disciplina che studia i fenomeni di significazione e comunicazione. Insomma, la semiologia studia le relazioni tra segni e realtà: perché la rosa si chiama 'rosa', perché quella parola si scrive con quei segni, che si pronunciano con quei suoni? Perché quando li pronuncio mi viene in mente quella cosa? Il lavoro accademico del Professor Eco è curiosamente noioso o forse noiosamente curioso. Forse per questo, il barbuto insegnante ha iniziato a scrivere storie avventurose.

A 14 anni ho letto quel libro per la prima volta. Saputo che lo stavo leggendo, una professoressa mi ha detto: "Ma non è troppo complicato per te?". Anche lei lo aveva letto, ma ne aveva còlto uno solo dei piani di lettura possibili, quello dotto dei collegamenti filologici e storiografici. Aveva tralasciato il romanzo giallo, il brivido. Aveva tralasciato, ancor più, la piccola gemma che il libro nasconde.

Adso da Melk, il supposto narratore, riferisce anche della sua esperienza sessual-amorosa di gioventù, proprio durante i fatti della storia. La definisce, al termine del libro, come cosa peccaminosa conchiusa nel passato. Ma il suo ricordo, anche durante la vecchiaia, è vivido per ciò che riguarda la ragazza di cui s'era invaghito e rivela che l'infatuazione amorosa ancora persiste. Non ha mai saputo il nome della ragazza. Ma ne aveva conosciuto tutto l'essere. Un po' come un totale ignorante che non ha mai visto una rosa, ma ne percepisce e riconosce l'intima bellezza senza necessità di spiegazioni. Ecco il senso del titolo, in uno dei possibili piani di lettura.

Il buon Eco ha riproposto un pensiero romantico già utilizzato, adattandolo al suo volere semiotico; lo "Swan of Avon" Shakespeare almeno tre secoli prima aveva fatto dire ad una Giulietta monomaniaca per il suo Romeo: «Che significa "Montecchi"? Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la faccia, né un'altra parte qualunque del corpo di un uomo. Che cosa c'è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo.»

Cosa accade quando ci si innamora? Cosa cambia, nel modo di vedere l'altro?

Gli Hootie & the blowfish (ma non ho certezza della data) sono una band americana nata in un College; nel 2000 hanno tenuto un concerto in un College. Il tutto è stato poi proposto su Mtv unplugged series. All'interno del concerto, il gruppo s'è fatto da parte e ha permesso al cantante ed al chitarrista di eseguire una canzone di Tom Waits.

I signori citati meritano di essere ascoltati ed apprezzati in molte altre canzoni (Let her cry, Only wanna be with you, etcetera) ma la canzone in questione è davvero fantastica. E' una bella emozione da ascoltare, pura: descrive quella linea di confine superata la quale ci si innamora. Senza necessità fisiche. Solo, accade quel famoso "qualcosa". Trovatela e ascoltatela nella versione indicata, chiudete gli occhi, respirate con calma. E lasciatevi portare dalla voce.

Closing Times

Well I hope that I don't fall in love with you
'Cause falling in love just makes me blue
Well the music plays and you display your heart for meto see,
I had a beer and now I hear you calling out for me
And I hope that I don't fall in love with you.

Well the night does funny things inside a man,
These old tomcat feelings you don't understand,
Well I turn around to look at you; you light a cigarette,
I wish I had the guts to bum one, but we've never met.
And I hope that I don't fall in love with you.

I can see that you are lonesome just like me,
And it being late, You'd like some company.
Well I turn around to look at you, and you look back at me,
The guy you're with has up and split the chair next to you's free.
And I hope that you don't fall in love with me.

Now it's closing time, the music's fading out.
Last call for drinks, I'll have another stout.
Well I turn around to look at you; you're nowhere tobe found,
I search the place for your lost face, guess I'll have another round.
And I think that I just fell in love with you.

venerdì 15 giugno 2007

Lupo Alberto

L'antieroe di Silver considerava - in una vignetta singola di qualche anno fa - che non vale la pena affannarsi nella vita, poiché tanto "non ne verremo mai fuori vivi". Ottimismo ostentato e contagioso, ma foriero di un messaggio indubitabilmente (l'avverbio è una dotta citazione per chi so io) concreto.
Una donna meritevole di stima mi ha donato un momento di riflessione sulla eccessiva rapidità della vita quotidiana (trascurabile in quanto populista e qualunquista l'apporto conferito dal Conte Bera: ok, la vecchina che crea coda con la sua punto e il semaforo schizofrenico in fondo alla coda esistono, ma se li si becca sempre forse è opportuno fare un salto dal prete per una benedizione lampo o dall'esorcista per un brivido superiore). Oltre a ringraziare Francesca dell'omaggio, pokeristicamente parlando "vedo" il suo "call" e rilancio ("raise") con un brano, sempre sul medesimo argomento.
Nel 1972 il c.d. grande pubblico faceva la conoscenza con una band particolare, nata un anno prima: si tratta degli Eagles (il primo album è omonimo), che furoreggiano per otto anni nonostante un rapido turn-over di componenti (rimangono sempre fissi i fondatori, Don Henley e Glenn Frey).
Sono riconosciuti come LA country-rock band; in realtà NASCONO country, dunque con una certa attenzione ai valori sani del genere umano. Evolvendosi, acquisiscono sempre più toni rock, continuando però a tener fede al ruolo "subliminale" di coscienza degli USA.
Nel 1980 smettono di suonare assieme. Da quattro erano diventati cinque: Bernie Leadon e Randy Maisner hanno ceduto il posto a Don Felder, Joe Walsh e Timothy B. Schmit.
Nei primi anni '90 si ritrovano e la reunion viene suggellata da un videoconcerto straordinario nel 1994: è il periodo degli "unplugged" di Mtv e chi potrebbe tenere i diritti sui video meglio della emittente dei giovani Mocciani? Il concerto viene titolato "Hell Freezes over". Lo consiglio dall'inizio alla fine, intendendo per inizio le interviste, le prove, il backstage in genere e per fine i titoli di coda. Tutto compreso. All'uscita della band sul palco, Glenn Frey afferma: "For the records, we never broke up, we just took a fourteen years vacation". Beati loro.
Uno dei pezzi inediti presentati durante la serata (ti presenti e non porti niente? E' maleducazione!) è – ça va sans dire - quello di oggi. E' incentrato proprio sul vivere la vita e non ridursi a sopravvivere ad essa. Il brano è molto pacato, dà l'impressione di un qualcuno che ha sufficiente esperienza di vita per potersi permettere quel consiglio. Il senso è ancora quello dell'inizio, cioè di TAKE IT EASY, ma ora con una consapevolezza superiore. La voce di D. Henley riesce ancora una volta a toccare le corde dell'anima.
Learn To Be Still
It's just another day in paradise
As you stumble to your bed
You'd give anything to silence
Those voices ringing in your head
You thought you could find happiness
Just over that green hill
You thought you would be satisfied
But you never will
Learn to be still
We are like sheep without a shepherd
We don't know how to be alone
So we wander 'round this desert
And wind up following the wrong gods home
But the flock cries out for another
And they keep answering that bell
And one more starry-eyed messiah
Meets a violent farewell
Learn to be still
Learn to be still
Now the flowers in your garden
They don't smell so sweet
Maybe you've forgotten
The heaven lying at your feet
There are so many contradictions
In all these messages we send(we keep asking)
How do I get out of here
Where do I fit in?
Though the world is torn and shaken
Even if your heart is breakin'
It's waiting for you to awaken
And someday you will
Learn to be still
Learn to be still
You just keep on runnin'
Keep on runnin'

giovedì 14 giugno 2007

Cinque personaggi in cerca di sé

Il gusto è un fatto personale; consiste anche in questo quell'inezia di diversità che caratterizza ognuno di noi. Soltanto per questa ovvia ragione dovremmo portare più rispetto gli uni per gli altri e per le preferenze individuali (eccezion fatta per le devianze aberranti su cui non mi soffermerò), indipendentemente dal loro ambito di manifestazione (arte, lavoro, sessualità, erotismo, cucina, hobbies,...).

E' questo nostro momento di diversità il motivo per cui molte sono le culture, molti i punti di vista e molte sono le realtà. Insomma, è questo che rende speciale la vita.

C'è un momento particolare, nella vita di ognuno di noi, durante il quale tutte queste diversità sono esasperate: l'adolescenza; si tratta di un periodo magnifico e paradossale: magnifico perché se ne conserva un ricordo che difficilmente sbiadisce, perché si fanno le prime esperienze forti; paradossale perché si forma il carattere, si delinea e definisce, vengono acuite ed esasperate le diversità, ma si cerca un "gruppo" di appartenenza nel quale poter essere liberi.

In molti hanno analizzato questo periodo di passaggio, e ancora molti hanno provato a studiarlo nella cosiddetta 'X GENERATION', quella che l'adolescenza l'ha vissuta negli anni '80 e '90. A mio avviso, nessun "esperto" psicologo-psichiatra, letterato o artista ha centrato il cuore della questione, ad eccezione di un regista, John Hughes.

A metà degli anni '80 Hughes ha girato quello che, a mio avviso, è il capolavoro descrittivo della generation X, un film straordinario ma che in Italia è poco noto: THE BREAKFAST CLUB.

E' la storia di 5 teenagers totalmente diversi tra loro per condizione sociale, frequentazioni, hobbies, cultura (vengono utilizzati gli stereotipi Jankee dello sportivo, del nerd, della principessina, della schizzata e del bullo)... Insomma, si diversificano per tutto ciò che identifica un adolescente. I cinque si trovano costretti, per punizione scolastica, a trascorrere il sabato (dalle 08.00 a.m. alle 16.00 p.m.) chiusi nella biblioteca della scuola, sorvegliati da un insegnante (che si sente più in punizione di loro), il quale, nel tentativo di placarne gli animi, affida loro "il" tema: "CHI SONO IO?"; il prof. confidava nell'autoanalisi punitiva.

La convivenza forzata, i rispettivi vissuti e le connesse problematiche fungono da potente catalizzatore e i nostri eroi sono costretti ad un profondo esame personale e sociale, un terremoto interiore che, nell'ottica buonista del film, riesce a migliorarli, facendo loro superare il preconcetto del 'diverso', differente e perciò necessariamente negativo.

I dialoghi sono stati resi, nella traduzione, abbastanza bene; tuttavia, è proprio la battuta di chiusura, quella che dimostra il cambiamento, a non essere fedele. Infatti, nella versione italiana si sente dire: "...tanto lei ci vede come vuole. Usando il linguaggio più semplice e la definizione più comoda, lei ci vede come un cervello, un atleta, un'handicappata, una principessa e un criminale...."; invece, nella versione originale la lettera nell'epilogo contiene una differenza fondamentale: "...you see us as you want to see us. In the simplest terms and the most convenient definitions. But what we found out is that each one of us is a brain..an athlete..a basket case..a princess..and a criminal....", ovvero: "...tanto lei ci vede come vuole. Nei termini più semplici e nella definizione più comoda. Ma ciò che abbiamo scoperto è che ognuno di noi è un cervello..un atleta..una schizzata..una principessa..e un criminale ...."; come a dire "siamo un qualcosa di indefinito, ma potremmo essere quello che vogliamo. Non ci limitate."!

E' un film che riguardo spesso, con gioia e nostalgia: nonostante la differenza culturale, riconosco in quei ragazzini una parte di me.

La colonna sonora è adeguata al periodo, nulla di speciale tranne per un brano, interpretato dai Simple Minds. Spero lo conosciate o che abbiate la voglia di conoscerlo.

Dedicato alla sezione B magistrale Duca degli Abruzzi di Treviso, diplomata nel '96/97.
Don't You (Forget About Me)
Hey, hey, hey, hey Ohhh...
Won't you come see about me?
I'll be alone, dancing you know it baby
Tell me your troubles and doubts
Giving me everything inside and out and
Love's strange so real in the dark
Think of the tender things that we were working on
Slow change may pull us apart
When the light gets into your heart, baby
Don't You Forget About Me
Don't Don't Don't Don't
Don't You Forget About Me
Will you stand above me?
Look my way, never love me
Rain keeps falling, rain keeps falling
Down, down, down
Will you recognise me?
Call my name or walk on by
Rain keeps falling, rain keeps falling
Down, down, down, down
Hey, hey, hey, hey Ohhhh.....
Don't you try to pretend
It's my feeling we'll win in the end
I won't harm you or touch your defenses
Vanity and security
Don't you forget about me
I'll be alone, dancing you know it baby
Going to take you apart
I'll put us back together at heart, baby
Don't You Forget About Me
Don't Don't Don't Don't
Don't You Forget About Me
As you walk on by
Will you call my name?
As you walk on by
Will you call my name?
When you walk away
Or will you walk away?
Will you walk on by?
Come on - call my name
Will you all my name?
I say :
La la la...

lunedì 11 giugno 2007

Contaminazione

Raccontarsi, narrare qualcosa di sé è ardua impresa, se si vuole essere onesti con gli altri e, prima ancora, con noi stessi. Difficilmente qualcuno riesce a compiere una simile impresa.

Il maggiore oracolo della Grecia antica, quello di Delfi, aveva un "proprio motto": Γνωθι Σεαυτόν (dovrebbe pronunciarsi GNOSI SEAUTON, con la 'G' dura, ma i grecisti tra voi avranno il buon cuore di correggermi), ossia 'conosci te stesso'. Sono passate migliaia di anni, ma ancora l'essere umano è in difficoltà di fronte al proprio 'io' e alle conseguenze che esso provoca.

Ognuno di noi indossa una maschera, per quanto piccola, con cui pretende di giustificare la propria diversità dagli altri.

Per questo fece scalpore, al tempo, l'opera di E. L. Masters, il quale pubblicò - su un quotidiano statunitense - quella che sarebbe poi divenuta l'Antologia di Spoon River. L'autore prese spunto da persone a lui note e ne descrisse in forma di epitaffio il fulcro esistenziale con una poetica scarna molto efficace. Tanto che alcune di esse, quelle ancora in vita, si riconobbero e si risentirono del fatto di esser state messe a nudo così brutalmente.

Chi ha letto L'Antologia (sdoganata in Italia durante il ventennio littorio grazie ad una inconsapevole Fernanda Pivano e ad un accorto e astuto Cesare Pavese) conosce la poesia di quelle crude descrizioni. Chi non la conosce e non se la sente di leggerla ascolti l'album NON AL DENARO, NON ALL'AMORE NE' AL CIELO del compianto De Andrè, che da essa è ispirato; il disco originale è del '71.

Ottimo, secondo me, l'omaggio di Morgan, che l'ha rifatto nel 2005.

La canzone di oggi è speciale. E' solo una ma vi esorto ad ascoltarle tutte. Questa parla di una persona che, non avendo maschere, ne avrebbe voluta una. E anche di un paese di maschere che... Beh fate voi. Si intitola

UN MATTO (DIETRO OGNI SCEMO C'E' UN VILLAGGIO)

Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro.

E sì, anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare:
per stupire mezz'ora basta un libro di storia,
io cercai di imparare la Treccani a memoria,
e dopo maiale, Majakowsky, malfatto,
continuarono gli altri fino a leggermi matto.

E senza sapere a chi dovessi la vita
in un manicomio io l'ho restituita:
qui sulla collina dormo malvolentieri
eppure c'è luce ormai nei miei pensieri,
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole.

Le mie ossa regalano ancora alla vita:
le regalano ancora erba fiorita.
Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina;
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
"Una morte pietosa lo strappò alla pazzia".

Si va a cominciare l'esperimento

Quello che va ad iniziare è l'esperimento di una radio da leggere.

Proviamo a vedere se serve più a Voi che a me.

Per i primi giorni cercherò di imparare a gestire l'idea, poi...